martedì 20 maggio 2008

ora et pedala

Ora et pedala

Don Romano è uno di quelli che i suoi giorni li vive e li pedala. O, forse, sarebbe meglio dire che, pedalando, li vive meglio. Nel senso che don Romano Frigo, 44 anni, da nove anni parroco a Cervarese Santa Croce, in diocesi di Padova, è probabilmente l'inventore della pastorale della bicicletta.

All’inizio la pancia... ci ha messo lo zampino. Un'esperienza, questa, che ha messo per iscritto, con una singolare chiarezza di linguaggio e comunicatività, e che da poche settimane è diventata un libro, “Ora et pedala”, edito da Ediciclo, la casa editrice di Portogruaro che da più di vent'anni pubblica libri che parlano di due ruote.
“Ora et pedala” verrà presentato a Mestre giovedì 10 aprile, alle ore 18, alla libreria Feltrinelli del Centro Le Barche: Fiorella Girardo, giornalista di BluRadio Veneto (la neonata emittente che unisce le radio diocesane di Venezia, Treviso e Padova), intervisterà l'autore.
Non è molto che don Romano ha inforcato la bici, perlomeno nella modalità che ha poi generato il volume. All'inizio, nel 2001, lo ha fatto anche per tenersi in forma; ma molto presto ne ha apprezzato i molti vantaggi che si accompagnano al tenere a bada la pancetta (porta l'extra-large, precisa con autoironia) e toniche le gambe.

Gli sport “di battaglia” e quelli “di esodo e di cammino”. In realtà quella della due ruote era quasi una scelta obbligata: «Da piccolo – racconta il sacerdote – facevo sci di fondo. E nella mia fantasia ho sempre diviso gli sport in due famiglie: da un lato quelli “di battaglia”, dove c'è un confronto fra squadre; dall'altra quelli “di cammino e di esodo”, per dirlo con la Bibbia, dove c'è un viaggio da fare, uno spostarsi da qua a là».
La bicicletta, ovviamente, ci sta a fagiolo nel novero di questi secondi. E lasciamo da parte i benefici che ognuno può immaginare: il viaggiare silenziosi in mezzo al verde (dei Colli Euganei) o tra i paesi, assaporando forme, colori e odori del paesaggio.
Andiamo, piuttosto, al nocciolo della questione: qui è un prete che si mette a fare 7/8.000 chilometri all'anno in bicicletta. Ore e ore pedalando. Ma a che pro? E lo fa nell'esercizio delle sue funzioni? Insomma, che cosa c'entra la bicicletta con il Vangelo? Don Frigo sorride e tira in ballo la proprietà transitiva: «La bicicletta ha a che fare con la vita e la vita ha a che fare con il Vangelo».
Non è solo una battuta: per l'autore di Ora et pedala è una formula che funziona davvero. E di cui si è fatto consapevole negli anni, mentre le gambe spingevano sui pedali e il cervello rimuginava in libertà.

Se il campo scuola non funziona più... Esemplifica don Romano: «Tutto è partito da una constatazione: che con i ragazzi si fa fatica a fare un cammino di spiritualità basato solo sul cervello. La cosa più normale, che si fa in una parrocchia, è prendersi su un bel gruppo di giovani, andare in un luogo ameno – come sono ameni tutti i luoghi in cui si va con i gruppi parrocchiali – e trascorrere lì una settimana di campo scuola. E cosa si fa in un campo scuola? Si fanno discorsi, conditi da giochi. Io mi ero accorto che i miei ragazzi facevano fatica a trarne profitto: ascoltavano le quattro prediche che facevo e poi, nel resto del tempo, facevano cagnara. E così non riuscivano, a forza di discussioni, ad uscire dalla settimana cambiando idea su qualcosa. E allora ho pensato che quella strada che non riuscivano a fare con la sola testa, gliel'avrei fatta fare con le gambe».

La spiritualità non dimentica mai il corpo. Detto fatto: nel libro, per esempio, si racconta di come un gruppo di ragazzi guidati dal don siano stati pellegrini, su due ruote, fino ad Auschwitz, passando per le città di Papa Wojtyla. Molto più di un campo scuola. Perché – come spiega nella prefazione don Chino Biscontin - «la spiritualità non dimentica mai il corpo e la meditazione non tralascia mai il suolo, la strada, la terra».
«Siamo un tutt'uno di anima e di corpo», rimarca don Romano: «Se io divido l'umano e presumo di coltivare la spiritualità facendo leva solo sul cervello, dimentico il legame inscindibile con la corporeità e rischio di diventare schizofrenico, una persona divisa».
Il nesso funziona, secondo il parroco padovano. E funziona anche perché, pedalando, si impara il confronto con la fatica, «una grande maestra di vita: i ragazzi capiscono che la fatica è ripagata dal risultato, e che alla fine sei felice».

I parrocchiani hanno capito. Allo stesso modo – continua don Romano – «si impara a darsi dei traguardi e a raggiungerli: questo è uno degli insegnamenti della bicicletta».
Così, sul campo – anzi, sulle due ruote – don Frigo ha convinto tante persone della bontà del suo metodo. A partire dai parrocchiani: «Quando mi vedono mi salutano, ormai sanno che sono così. Non si scandalizzano certo se mi vedono in bici con i calzoncini corti, il caschetto e gli occhialini a specchio, perché hanno capito che questo non è un modo per fuggire dalla responsabilità di parroco e vedono che cerco di farne un uso pastorale, specie con i giovani».

Com’è diverso pedalare a Berlino. Ma il prete in velocipede, che – parole sue – ha maturato una solenne allergia per l'automobile, cosa pensa dei due grandi nei che rendono sconveniente – non dal punto di vista pastorale, ma della pura sopravvivenza – il pedalare? Cioè il pericolo di finire sotto un'auto o un tir e il rischio di inalare a pieni polmoni così tanto smog da beccarsi qualche rogna ai polmoni?
«E' vero – risponde – in Italia c'è una cultura della bicicletta ancora embrionale. Andare in bici in Germania o in Austria, per esempio, è tutta un'altra vita. L'anno scorso, con i ragazzi, siamo andati a Berlino e abbiamo attraversato le città tedesche e la stessa capitale in tutta sicurezza, sempre su piste ciclabili o corsie riservate, con tanto di diritto di precedenza sulle automobili. L'unico che ci ha strombazzato dietro era... un italiano».


don Romano Frigo, Ora et pedala – Cicloriflessioni di un curato di campagna, pagg. 254, Ediciclo Editore, euro 15.

Giorgio Malavasi Tratto da Gente Veneta , no.14 del 2008

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